CHI SIAMO – Comitato Nazionale delle Fondazioni Lirico Sinfoniche

6 OTTOBRE 1600 – 6 OTTOBRE 2018

 

Risulta molto difficile scrivere delle fondazioni liriche e della crisi che da anni le attraversa. Il problema è complesso e articolato e proveremo a dare qualche risposta, consapevoli di non riuscire ad essere esaustivi su un tema così ampio.

Qualche dato, per dare un’idea generale di ciò di cui parliamo: le opere dei compositori più eseguiti al mondo sono di Verdi, Puccini, Rossini, Donizetti e Bellini, ma l’Italia non detiene nessun record quanto a numero di rappresentazioni, tanto da collocarsi diciassettesima nel rapporto tra numero di spettacoli offerti e popolazione. Eppure l’opera, si sa, è nata a Firenze il 6 ottobre del 1600, e da allora ha avuto una fortuna crescente e incessante, tanto che oggi nei paesi emergenti fioriscono nuovi teatri e ricche stagioni liriche come simbolo di civiltà e prestigio, mentre in Italia li si ritengono sacrificabili.

Nel 1967 con la Legge Corona si stabiliva che attività lirica e concertistica fossero considerate dallo Stato di rilevante interesse nazionale per la loro funzione didattica, culturale e sociale nel Paese. Allora c’era una concezione fortemente costituzionale dei teatri o forse, più semplicemente, si concepiva la centralità della cultura nello stato “culla dell’arte”.
Dunque una legge del 1967 definiva la funzione civile dei teatri lirici, ma già nel 1921, grazie ad Arturo Toscanini, i lavoratori dei teatri acquisivano la loro dignità professionale a tutti gli effetti. Professionisti della musica, della danza e del palcoscenico: coristi, orchestrali, ballerini, tecnici, scenografi e tanti altri si vedevano riconosciuti nella loro identità lavorativa e nei loro conseguenti diritti.

Apriamo una parentesi necessaria sul nostro lavoro.

La musica si studia per vocazione e attraverso una dura disciplina. È come lo sport agonistico e professionale, non si può fare senza attitudine e una forte volontà personale. L’ingresso in conservatorio è già una selezione, poi i corsi di studio sono dai 5 ai 10 anni, con obbligo di frequenza. Dopo il conservatorio c’è sempre una specializzazione con corsi di perfezionamento mirati ad un repertorio in particolare. Per entrare stabilmente in un coro o in un’orchestra bisogna superare un concorso pubblico internazionale che prevede un ampio numero di prove. Mediamente, per ogni posto di lavoro messo a concorso, ci sono circa 60 candidati provenienti da tutto il mondo. Ma per la maggior parte dei musicisti il lavoro nei teatri passa attraverso una lunga gavetta fatta di audizioni e precarietà, cosa che vale anche per i tanti tecnici all’interno delle fondazioni liriche.

Quando si fa parte di una fondazione lirica si lavora ogni giorno per preparare le opere e i concerti. Il lavoro comprende ovviamente le prove musicali, ma anche quelle tecniche per il coro, come le prove di scena, la prova dei costumi, il trucco e il parrucco. Poi esiste una parte della professione che non viene conteggiata nel monte ore, ed è quella dello studio a casa e privato (lo studio della musica richiede un costante allenamento per tutto l’arco della carriera); sembra assurdo, ma occorre precisare questo aspetto, poiché nella campagna denigratoria messa a punto da molti giornali contro le nostre professioni pare che noi musicisti ci gingilliamo per la maggior parte del tempo. Inoltre, secondo la logica che ci vorrebbe declassare per tornare indietro di 100 anni, con buona pace di Toscanini, noi musicisti non dovremmo ammalarci, niente mutua, perché mai perseverare in questa follia della stabilità?

Se i nostri teatri possono offrire spettacoli e concerti di alta qualità, questo è reso possibile dal lavoro quotidiano che permette ai direttori di coro e orchestra di cesellare suoni e volumi dei reparti  artistici, prima ancora di trasformarli in interpretazione. E uno spettacolo non può esistere senza i tecnici che allestiscono le scene o dipingono i fondali, l’ufficio stampa che promuove l’attività, la biglietteria, gli amministrativi che preparano le buste paga o i musicologi che curano i sovratitoli di sala e i libretti, una direzione artistica che ingaggia solisti, direttori, registi, i vigili del fuoco per la sicurezza, le sarte per i costumi e la vestizione (provate ad indossare da soli un corsetto ottocento!), le truccatrici, gli illuminotecnici, i mimi, le comparse, le maschere e tanti altri ancora.

Il teatro è una macchina complessa ; l’opera non si può fare al ribasso, comporta necessariamente dei costi e inoltre, se per molte realtà la manodopera può essere sostituita dalle macchine, in un teatro il numero degli artisti sarà sempre lo stesso, l’organico della Turandot richiederà sempre lo stesso numero di artisti del coro e professori d’orchestra che aveva in mente Puccini, le corde vocali saranno sempre e solo due per ogni corista.

Per questo nel 1985 nasce il Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS) , che ha lo scopo di finanziare anche i teatri d’opera italiani. Lo stanziamento risulta fin da subito inadeguato. Deve essere per questo che, nei 33 anni successivi alla sua nascita, illuminati politici lo riducono del 50%…
Per quanto siano noiosi numeri e acronimi, è d’uopo constatare che ci ritroviamo oggi con un FUS pari allo 0,025% del Pil, da suddividere fra i numerosi soggetti aventi diritto; ogni anno una commissione composta, tra gli altri, da un organizzatore di pizzica e taranta, un esperto di jazz e un producer di eventi dj set stabilisce, con un punteggio più o meno arbitrario, quali associazioni potranno beneficiare del FUS e in quale misura, condannando talvolta storiche formazioni musicali all’oblio o a una drastica riduzione dell’attività (ultima di queste i Solisti Veneti diretti dal compianto Claudio Scimone).

Nel 1996 il ministro dei Beni culturali Walter Veltroni trasforma gli enti lirici in fondazioni di diritto privato. L’operazione, che poi investe progressivamente ogni comparto culturale, risulta fallimentare: il modello ibrido non porta alle sponsorizzazioni sperate ma mantiene un sistema quanto meno discutibile, con la nomina dei sovrintendenti per appartenenza politica prima che per merito. Un esempio per tutti, la nomina del perito agrario Girondini all’Arena di Verona, durante il cui mandato la situazione patrimoniale della fondazione è andata peggiorando notevolmente. Verona, che con 400 mila biglietti venduti durante gli spettacoli estivi è stata ad un passo dalla liquidazione (proposta a più riprese dall’ex sindaco Flavio Tosi); Verona, che ha perso il corpo di ballo (no, non lo ha perso, è stato licenziato senza neanche un ricollocamento ); Verona, i cui lavoratori pagano il piano di risanamento con la sospensione dell’attività e della retribuzione per due mesi all’anno nel triennio 2016-2018. Ha dunque funzionato la riforma di Veltroni? Niente affatto.

I teatri devono e possono essere virtuosi (alcuni lo hanno dimostrato in questi anni, senza bisogno di licenziare o – come nel caso del Teatro dell’Opera di Roma nel 2014 – minacciare di licenziare i lavoratori), ma lo Stato ha il dovere di garantire gli stanziamenti in modo adeguato e, in ultima istanza, di tener fede al mandato costituzionale dell’articolo 9.
Siamo in un paese in cui il sistema produttivo culturale e creativo, di cui siamo una fetta, genera 250 miliardi di euro all’anno (il 17% del PIL) e gli stanziamenti per la cultura ci collocano ai penultimi posti della media europea. Questo deve cambiare.

Che cos’è il Comitato Nazionale Fondazioni Lirico Sinfoniche?

È un gruppo di attivisti-lavoratori delle 14 fondazioni lirico sinfoniche, con una referente anche per lo storico Teatro Bellini di Catania. Siamo professori d’orchestra, tecnici, amministrativi, artisti del coro e ballerini; ci siamo attivati e organizzati in un comitato quando nell’agosto del 2016 è uscita la legge – art 24 legge 160/2016 – che prevede lo smantellamento delle nostre istituzioni attraverso il declassamento a teatro lirico sinfonico, la trasformazione dei contratti da tempo indeterminato a part time obbligatorio con la conseguente drastica riduzione dell’offerta operistico – sinfonica. Dall’ottobre del 2016 ci siamo mobilitati in ogni modo possibile per contrastare un disegno politico che vuole fare dei nostri teatri, eccellenze conosciute in tutto il mondo, due tipologie di realtà: quelle di serie A e quelle di serie B.
Siamo passati attraverso un processo di consapevolezza durato due anni: dalle rivendicazioni del nostro settore siamo approdati ad una concezione più ampia del problema, ossia la volontà di riappropriarci dell’articolo 9 della Costituzione.

Il Comitato Nazionale Fondazioni Lirico Sinfoniche si compone di attivisti dei teatri Regio di Torino, Carlo Felice di Genova, Scala di Milano, Arena di Verona, Fenice di Venezia, Verdi di Trieste, Maggio Fiorentino Musicale, Comunale di Bologna, Lirico di Cagliari, Opera di Roma, San Carlo di Napoli, Petruzzelli di Bari, Massimo di Palermo, Bellini di Catania.


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